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Emanuele Pucci è un imprenditore laureato in Economia e Commercio. Dal 2007 ricopre la carica di CEO in Teleskill, società con sedi a Roma, Milano e Londra, un’azienda che oggi collabora con clienti di ogni dimensione in Italia e nel mondo anche attraverso la promozione della formazione a distanza.

 

Con la sigla MOOC (Massive Open Online Courses) si identifica comunemente una certa categoria corsi online aperti, pensati per una formazione a distanza che coinvolga un numero elevato di utenti. L'acronimo MOOC è stato utilizzato per la prima volta nel 2008 nel corso "Connectivism and Connective Knowledge". I corsi MOOC si sono diffusi su scala mondiale a partire dal 2011 e ben presto sono approdati anche in Italia. Per conoscerli meglio abbiamo intervistato Emanuele Pucci, Amministratore Delegato Teleskill, l’azienda che da 15 anni realizza servizi innovativi di e-learning e comunicazione audiovisiva interattiva via web nei più diversi settori e sviluppa integralmente soluzioni originali per creare valore aggiunto nelle imprese.

Dottor Pucci, ci sono pareri discordanti sui MOOC. Può chiarire perché?

Certamente. L’idea che sta alla base dei MOOC è semplice: offrire corsi online su tutte le tematiche disponibili nei programmi delle università convenzionate, tratti da moduli dei programmi formativi in atto, e distribuirli gratis a tutto il mondo, con l'intento di fornire insegnamenti di ottimo livello anche a chi vive lontano dai grandi poli accademici.

In molti hanno guardato ai MOOC, come un’idea di straordinaria potenza, in grado di cambiare totalmente il mondo della formazione online, e forse della formazione in generale. Ma come è accaduto per alcuni social network, è la massa degli utenti a decretare il successo o la fine di un progetto, in base all’utilizzo che se ne fa.

Per i MOOC, i dati purtroppo non sono confortanti: tassi incredibilmente bassi di tenuta, proposta di un’esperienza di apprendimento essenzialmente isolata, poche e imperfette misure di valutazione e soprattutto la promessa iniziale non mantenuta per un’offerta di istruzione di qualità, rivolta a milioni di giovani di tutto il mondo che non hanno accesso alle grandi facoltà e scuole del mondo occidentale.

Qual è la ragione di questa scarsa popolarità?

Tra tanti elementi negativi, il punto debole più evidente, oggi dei MOOC, è la poca flessibilità nella personalizzazione dei corsi. Oggi l’utente sia che si trovi In Europa, sia che abiti in Cina, vuole essere centrale nella piattaforma in cui opera. Il corso può anche essere interessante, ma se manca di flessibilità e di interattività è destinato, in parte a fallire.

L’interattività diventa centrale, quindi, anche in corsi di tipo MOOC?

Sì, è naturale evoluzione dell’apprendimento a distanza, quello che – in un altro ambito, in Teleskill chiamiamo e-learning 2.0. Oggi l’utente considera molto importante poter condividere e interagire con gli altri utenti della rete. I MOOC, nella gran parte, sono ancora arretrati e in questo e non permettono molte attività considerate comuni, attualmente, da chi “abita” la rete. E non si tratta di un “vezzo”. Senza l’interazione faccia a faccia, gli studenti non riescono a esprimere le loro preoccupazioni e ricevere un feedback immediato di supporto. Inoltre, in assenza di interazione è più difficile per i docenti esprimere entusiasmo e positività per il lavoro in corso e condividere le loro emozioni, fattori che incoraggiano gli studenti a lavorare di più.

Quale potrebbe essere, a suo avviso, un ulteriore leva di diffusione dei MOOC?

La personalizzazione, senza dubbio. Soprattutto in ambito aziendale, deve formarsi con contenuti personalizzati e realizzati ad hoc per lui. La specializzazione delle competenze necessarie per mantenere competitività sul mercato mondiale non permette libertà di indirizzo nella scelta tra corsi standard. Vorrei concludere, comunque, anche con qualche considerazione positiva: l’idea alla base dei MOOC, questa spinta alla cultura diffusa e accessibile per tutti resta incredibilmente affascinante e suggestiva. Diverse Università italiane li hanno già adottati, ma occorre pensare e creare i MOOC con una vero approccio 2.0.

Quale sarebbe la sua strategia per un vero sviluppo dei MOOC?

Bisogna agire su diversi fattori. Ad esempio, gli ambienti di apprendimento devono essere accessibili ovunque permettendo agli studenti di utilizzare pc, tablet o smartphone, e poter "passare da un dispositivo ad un altro, cambiando momenti e luoghi di studio, mantenendo traccia di quello che hanno imparato e delle attività in cui si sono impegnati".

I contenuti dei corsi devono poter essere aggiornati con semplicità e istantaneità e permettere la creazione di contenuti autogenerati anche dagli “studenti” stessi, oppure la conversazione live di un docente con un discente su di un certo tema, che può diventare (se registrato e organizzato) contenuto formativo per molti.

Particolarmente utile potrebbe essere dotare i corsi di una funzione “mi piace” e consentire agli utenti di esprimere un gradimento sui contenuti o rispondere a questionari.

La sfida, è in sintesi, quella di trasformare i MOOC con strumenti e incentivi per l’apprendimento collaborativo e la cooperazione tra studenti. La collaborazione tra pari, il superamento della divisione “professore – alunno”, genera grande coinvolgimento, maggiore interesse, maggiore fidelizzazione.  Inoltre, ma questa tendenza si sta già diffondendo, le università ed anche le aziende di un settore specifico, dovranno essere in grado di offrire il proprio corso MOOC personalizzato con attività interattive e partecipative, come ad esempio l’auto-creazione di contenuti formativi audio/video/slides da parte degli utenti stessi, stile WIKI…anzi diciamo stile…”Wiki-MOOC”!

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