"Napoli mia", edizioni Diaframma/Canon fotolibro di Augusto De Luca, realizzato con 43 immagini virate in tonalita' seppia dopo un'attenta osservazione del reale e che "raccontano" altrettante situazioni ambientali della citta' partenopea, merita senz'altro uno dei posti d'onore. Augusto De Luca dopo poco si colloca tra i piu' autorevoli professionisti in questo campo. E le immagini di questo suo ultimo libro, presentate in due diversi formati, in cui ha saputo condensare spazi, forme e colori, sono un' ulteriore conferma della bravura di questo inconfondibile mago dell' obiettivo. "Napoli mia" ricco di forme geometriche, di sapienti chiaro-scuri che emanano una luce molto particolare, denso di un' eloquenza allegra e pacata, è per me da guardare e da leggere, grazie anche ai testi critici di Michele Bonuomo e Giuseppe Turroni.

MILA STANIC

Giustamente si chiama "Napoli mia" questa raccolta di immagini di Augusto De Luca fotografo napoletano. Michele Bonuomo la presenta citando Walter Benjamin: "non si puo'raccontare la propria citta' senza intraprendere un viaggio nel tempo anzichè nello spazio. La Napoli di Augusto De Luca è una metropoli vuota, una citta' senza presente pericolosamente sospesa tra passato e futuro quasi un luogo simbolico di un moderno e raggelante smarrimento. Ricordo che quando chiesi a Andy Warhol quali ti sembrano i segni forti di Napoli, rispose senza esitare: il Vesuvio e la Pizza. Uno straniero nella citta' è sempre impressionato dall'esotico, dal pittoresco, dal colore; De Luca sente invece Napoli da nativo, in bianco e nero. Le voci dei vicoli, la napoletanita' rumorosa affogano in un mare di pietra in cui il fotografo insegue il SILENZIO come il capitano Achab, Moby Dik  la balena bianca, per catturarlo, e naturalmente ne resta catturato come sempre capita ai napoletani che guardano alla loro citta' da lontano con lo sguardo freddo e l'animo traboccante d' amore.

MICHELE SANTORO

….anche queste immagini rivelano il sapiente controllo della strutturazione formale dell'immagine (magari qui ancora piu' profondamente organizzata) e una ispirazione decisamente metaforica. Ma l'affiorare improvviso di una "visione" insieme cosi' consapevole e non equivoca si accompagna – per uscire dall'analisi l'inguistica – alla positivita' della proposta: una Napoli che solo apparentemente è rarefatta, ma che in realta' appare essenzializzata attraverso l'enucleazione dei propri "elementi" fondanti. Un discorso, alla fine, d'amore e di grande civilta'. Pare quasi che il fotografo sia montato sulla macchina del tempo ed abbia raggiunto un'epoca (non so dire se di ieri, di oggi, o di domani) in cui, dismessi i fantasmi della linkemelancholie, potesse contemplare il volto di Napoli scavato sotto l'incrostazione manieristica. Ne esce una visione completamente riscattata, in cui i fantasmi idealizzati dell'artista diventano (potenza della fotografia !) un "documento" tanto piu' credibile e coraggioso, quanto meno legato alla "ideologia" o al pregiudizio.

LANFRANCO COLOMBO

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