E’ scontro sull’articolo 18, la norma dello Statuto dei lavoratori del 1970 che disciplina il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. Scontro tra governo e sindacati, ma anche tra sindacati e imprese. Il ministro del Lavoro Elsa Fornero dà la “disponibilità piena” al dialogo con le parti sociali sul mercato del lavoro ma avverte che non ci possono essere “terreni inesplorati” perchè la riforma del mercato del lavoro è necessaria per le famiglie e le nuove generazioni e aggiunge inoltre che bisognerebbe riuscire ad aumentare i salari perché sono bassi e non è cosa che ci sfugge.

In risposta alle dichiarazioni della Fornero, arriva la presa di posizione della Cgil: “Il vero problema è pensare che la recessione si possa superare cancellando l’art 18”, ricordando che “in Italia la stragrande maggioranza delle imprese è sotto i 15 dipendenti e quindi non è tenuta ad applicare l’art 18. In Italia  la libertà di licenziare una persona per fondato motivo esiste. Guardate i tribunali: non sono intasati di cause art. 18. Così come esiste la libertà di licenziare collettivamente. E’ ampiamente praticata in centinaia di casi che cerchiamo di governare”.

Il senatore del Pd, Piero Ichino, intervistato dal Sole 24 Ore, specifica che l’articolo 18 si applicherebbe “a tutti i nuovi rapporti di lavoro dipendente, in materia di licenziamenti discriminatori. La norma raddoppierebbe il campo di applicazione: oggi nell’area del lavoro precario non si applica. Per i licenziamenti da motivo economico od organizzativo, invece, il controllo giudiziale sul motivo stesso verrebbe sostituito dalla responsabilizzazione dell’impresa nel
passaggio del lavoratore al nuovo posto. Uno dei cardini della riforma – sottolinea Ichino – deve essere l’estensione a tutti del trattamento speciale di disoccupazione, pari all’80% dell’ultima retribuzione per il primo anno dopo il licenziamento. Per questo primo anno il trattamento completamente a carico dell’impresa sarebbe minimo: il 10% di differenza per arrivare al livello danese. Che aumenterebbe all’80% nel secondo anno, tutto a carico dell’impresa, ma solo se non sarà
riuscita a ricollocare il lavoratore entro il primo anno”.

Per Alessandra Mussolini il vero problema è che, in realtà, chi perde il lavoro non lo trova più.

Fonte:
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/economia/2011/12/18/visualizza_new.html_15541750.html

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