Apocalittici o integrati? Sono passati più di cinquanta anni da quando Umberto Eco proponeva in un suo celeberrimo saggio questo quesito, relativo all'impatto dei mezzi di comunicazione di massa e alla reazione da parte di critici e utenti comuni. Oggi, mezzo secolo dopo, è la tecnologia a rappresentare la nuova frontiera del dibattito, e in particolare i suoi possibili effetti sulle dinamiche del lavoro.

L'apocalittico Rifkin

L'ultimo numero di Focus, ad esempio, ha posto l'attenzione su un tema molto delicato, ovvero il futuro degli impieghi "umani" che, secondo alcuni teorici, sarebbero messi a rischio dal progressivo ricorso alle macchine e ai robot. Uno degli osservatori più critici è l’economista Jeremy Rifkin, che nel suo libro La fine del lavoro ipotizza che entro il 2050 l’intero sistema economico mondiale potrà essere gestito dal 5% della popolazione adulta. Questo scenario cupo porterà a una disoccupazione generalizzata causata proprio dalla tecnologia e dalla progressiva concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi.

Pessimismo tecnologico

Una ulteriore "mazzata" arriva dalle stime del World Economic Forum di Davos, che prevede una perdita netta di 5 milioni di posti di lavoro nei prossimi 5 anni per colpa dei robot nelle 15 economie più importanti del mondo, Italia inclusa. La stessa Casa Bianca, ai tempi dell'amministrazione Obama, aveva già contato una perdita di circa tre milioni di posti di lavoro a causa dell’auto elettrica.

Ribaltare la prospettiva

Ma è davvero tutto così negativo? I vantaggi di questa rivoluzione tecnologica sembrano in realtà altrettanto notevoli, sia dal punto di vista "sociale" che da quello più specifico delle attività produttive. La società americana McKinsey ad esempio calcola che un terzo dei lavori svolti oggi dagli statunitensi appena un quarto di secolo fa neppure esisteva, citando in particolare attività come guida di droni o sviluppo di app; allo stesso tempo, è praticamente impossibile prevedere quali lavori nasceranno nei prossimi 30 anni.

Sguardo al passato

Gli analisti dello stesso gruppo affermano anche che solo il 5% di 830 lavori esaminati in diversi settori potrà essere completamente automatizzato nei prossimi 10 o 20 anni. Ma il catastrofismo appare esagerato anche guardando agli esempi del passato: alla fine del diciannovesimo secolo, in Inghilterra il numero delle imprese era 4 volte maggiore rispetto a quelle esistenti nel 1830, fasi iniziali della rivoluzione industriale.

Un impatto positivo?

Tra gli "integrati" va inserita di sicuro Sarah Kessler, reporter di Quartz ed esperta di tecnologie, che descrive un quadro futuro piuttosto ottimistico, in cui l’automazione dei processi produttivi potrebbe generare in primis un risparmio sui costi: secondo la giornalista, l'azienda ridurrà i prezzi e venderà di più, e l'aumento della domanda potrebbe generare nuovi posti di lavoro anche per persone in carne e ossa. Allo stesso tempo, i maggiori profitti conseguiti dalle aziende permetteranno di incrementare i salari dei dipendenti.

La collaborazione tra uomo e macchina

Insomma, posizioni diverse e forse inconciliabili, che non risolvono il dilemma; meglio allora studiare il presente per provare a intuire come possano evolvere le cose. In molte aziende, infatti, stanno già "convivendo" lavoratori umani e colleghi robot: l'esempio prioritario è quello dei carrelli automatici che prelevano i prodotti all’interno dei magazzini Amazon, o le SpeedFactory di Adidas dove si costruiscono scarpe quasi senza intervento umano. Inoltre, anche guardando alla sola Italia si stanno diffondendo sempre più i negozi virtuali, anche in settori molto specifici come le attrezzature per il lavoro o gli hobby, in cui si fa spazio Giffi Market, che propone però dei carrelli manuali che "necessitano" dunque di una persona fisica che li utilizzi.

Una convivenza possibile

Di recente, poi, la compagnia assicurativa giapponese Fukoku Mutual Life Insurance ha deciso di utilizzare un sistema di intelligenza artificiale per la liquidazione dei sinistri sostituendo ben 34 impiegati, con tutto vantaggio del processo per i suoi clienti. Eppure, tornando ad Amazon (che è considerata una delle bussole del settore), negli ultimi 3 anni l'azienda di Jeff Bezos ha decuplicato il numero di robot nei propri stabilimenti (da da 1.400 a 15.000), ma nello stesso triennio non è stato intaccato il tasso di crescita delle assunzioni umane, così che il numero di dipendenti del colosso americano è passato da 124.000 a 341.000.

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